giovedì 23 ottobre 2008

Sofisticazione dell'olio di oliva

Spentasi rapidamente l’eco, abbastanza silenziosa in verità, della scoperta dell’ennesima e puntuale frode a spese dell’immagine dell’olio extravergine d’oliva, frode realizzata spacciando per questo nobile prodotto una ignobile miscela di olio di semi e clorofilla chimica mascherata con etichette allettanti,
rimane la consapevolezza che non c’è la minima volontà, non dico di impedire, ma almeno di mettere un freno all’antica abitudine di svilire agli occhi del consumatore, attraverso azioni autenticamente criminali, uno dei più preziosi doni della natura, delizia - quando frutto di una produzione onesta e rigorosa - del nostro palato, oltreché importante presidio della nostra salute.

Si direbbe che tutti, dalle istituzioni alle organizzazioni di categoria, si contentino di affidare all’oblio di una infinita procedura giudiziaria, regolarmente destinata alla solita prescrizione, una faccenda dagli aspetti scottanti, che conduce, lo si voglia o no, dritto dritto nella direzione della potente organizzazione globale del commercio - di questo sistema monopolistico meno incolpevole di quanto esso stesso si affanni a farci credere – che nessuno sembra abbia voglia ed interesse di sfiorare con il minimo sospetto. E le ragioni di tanta condiscendenza non sono affatto misteriose, legate come appaiono a considerazioni di pura e semplice convenienza.

È infatti innegabile che gli interessi che ruotano attorno ai sempre più megagalattici centri commerciali che hanno invaso il mondo, e alle multinazionali della gastronomia, rappresentano la più fatale delle attrazioni per la potente lobby mediatica, la quale non si sogna nemmeno di mettere in moto gli strumenti che le sono propri per aprire gli occhi ai consumatori del mondo intero, per approfondire le cause di questi scandali, scoprirne i veri mandanti morali: la detta lobby preferisce applicarvi la sordina, dopo essersi limitata a darne notizia col massimo della stringatezza: l’importante è avere “le carte in regola” per incassare i più comodi e lauti guadagni che le derivano dai contratti pubblicitari con quegli stessi soggetti che potrebbe, se solo lo volesse, smascherare oltre che marchiare con parole di fuoco. Dimentica quindi di quella che dovrebbe essere la propria funzione di fustigatrice attenta e puntuale di ogni tentativo di carpire la buona fede del cittadino, e non ultimo anche a salvaguardia, come nel caso trattato, di quella bistrattata categoria rappresentata dagli operatori ancora sani ma ad un passo dalla capitolazione, impossibilitati come sono a contrastare l’imbroglio dilagante con le esigue, se non inesistenti, forze delle quali dispongono. Business is business, e il cittadino indifeso convinto di acquistare a prezzo vantaggioso quello che vale meno di niente viene turlupinato senza sosta.

Rimane ancor vivo, negli addetti ai lavori, il ricordo di quel prezzo del silenzio, rappresentato dalle quattro pagine di costosissima pubblicità a colori degli oli Sasso e Bertolli (Nestlè ed Unilever), che per mesi è apparsa nei maggiori quotidiani nazionali all’epoca della notizia divulgata dalla stampa tedesca, e regolarmente taciuta da quella di casa nostra, relativa al lucroso contrabbando di olio di scarti di noccioline, con navi cisterna approdate a Bari dalla Turchia, destinato a diluire generosamente l’extravergine delle due note marche mondialmente diffuse sotto l’ombrello del made in Italy.

E, ancora una volta, nella scandalosa vicenda a noi più vicina, ci tocca assistere al solito depistaggio, questa volta ammantato da un peloso amor di patria, ovvero dall’opportunità di non provocare una eccessiva risonanza di fatti che screditerebbero ulteriormente l’immagine dei prodotti italiani nel mondo, già abbastanza chiacchierati negli ultimi tempi: dal vino, mozzarelle e olio, alla provenienza cinese e rumena delle nostre più prestigiose etichette nel campo della moda.

E poi, è stato detto, l’olio di semi alla clorofilla non ha mai ucciso nessuno. Nessun cenno, ovviamente, sulla quantificazione in soldoni della truffa ai già disastrati consumatori, indotti a strapagare un vile prodotto con l’inganno di etichette bugiarde garantite dalla immeritata reputazione delle grandi catene alimentari. E, ancor meno, ci si preoccupa delle ripercussioni di questo libero andazzo sulla parte onesta degli operatori che hanno spesso serie difficoltà a vendere il loro olio, penalizzato dai prezzi stracciati – si fa per dire, perché si tratta di prodotti venduti almeno dieci volte più cari del loro vero valore – di invitanti bottiglie che troneggiano sugli scaffali della grande distribuzione.

Tutto questo, duole dirlo, all’ombra di una benevolenza sospetta e generalizzata che sorvola alla grande, come ci si trovasse in presenza di una marachella, su di uno spregevole reato contro gli interessi e la salute dei consumatori, e su uno degli innumerevoli colpi mortali inflitti all’eroico mondo agricolo. Mentre, l’ineluttabilità di simili frodi, la cui periodica scoperta fa il paio con i sistematici arresti degli spacciatori di droga, senza che nell’un caso come nell’altro il fenomeno venga minimamente scalfito, appare in tutta la sua inquietante prospettiva.

Non starebbe a noi dover suggerire che l’individuazione dei mandanti di ogni crimine rappresenta l’operazione in assoluto più pagante contro l’illegalità, e che basterebbe spulciare i conti dell’ultimo anello della filiera commerciale per individuare, fra gli acquirenti di prodotti a vil prezzo, rivenduti, malgrado le apparenze, con ampi margini di guadagno, il principale responsabile senza il quale non ci sarebbe misfatto.

Tanto per parlare anche degli altri: esiste del sedicente olio extravergine d’oliva, ovviamente italiano, venduto al pubblico americano ad un prezzo che non supera i tre dollari al litro (due euro nostri). Comprensivo dei costi di pessimo olio di semi, clorofilla, bottiglia, etichette, tappo, cartone, pratiche doganali e trasporto, e, ancora, della soddisfacente remunerazione di mediatori, fornitori e rivenditori.

Pubblicato in Kleos (prima parte in Kleos del 13 giugno 2008)



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