sabato 6 febbraio 2010

Punta Raisi, inferno pure per chi ci lavora

le lettere

Punta Raisi, inferno pure per chi ci lavora
Gianfranco Becchina
Palermo

Desidero complimentarmi con Marcella Croce per la garbata analisi pubblicata mercoledì della certo non edificante realtà dell' aeroporto palermitano, cui voglio aggiungere qualche riflessione. E segnalare una vergogna troppo grande e da eliminare immediatamente nella quale nessuno,
passeggero in arrivo o persona in attesa, può evitare di imbattersi: gli effluvi nauseabondi emananti dai gabinetti contigui alla porta d' uscita della sala arrivi. Poi ci sarebbe la naturalezza con cui certi inservienti si introducono, con carrelli di pulizia al seguito, negli ascensori riservati al pubblico. Poco curandosi, persino, di rispettare il loro turno. Per non parlare di alcune nuove norme, come quella che non consente più di imbarcare un pacco, fosse pure elegantemente confezionato, solido e ben chiuso, a meno che non venga introdotto in un borsone (da quattro soldi) che, guarda caso, si può comprare per la modica somma di 30 euro. Detto questo, premesso che non ho amici, parenti o interessi personali negli affari aeroportuali, vorrei spezzare una lancia in favore di tutti gli addetti, spaziando da quelli che non fanno le pulizie a quelli che determinano il caos con le loro assenze. Sono del parere che in genere queste persone fanno quello che possono, convinto come sono che la bolgia infernale che viviamo in occasione di viaggi o di attese di amici e parenti loro la vivono tutti i santi giorni. Non ci rendiamo conto dello stress da aggressione al quale sono incessantemente sottoposti tutti quelli, nessuno escluso, che lavorano in un aeroporto come quello di Punta Raisi, sottodimensionato come di più non sarebbe possibile. Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda; chi strilla, protesta, a ragione o a torto; chi vuole perentoriamente un bagaglio smarrito senza accorgersi di inveire verso un incolpevole addetto che, alla buon' ora, andrà in tilt anche lui; c' è il ritardatario che arriva quando il volo è già chiuso e insiste per partire perché, manco a dirlo, gli stanno morendo tutti i parenti; c' è la marea di gente che accompagna o riceve lo zio d' America che blocca le anguste sale, ingressi e uscite, con gli interminabili abbracci e «vasa-vasa» collettivi (ormai istituzionalizzati). E qui mi fermo. Il problema dunque non riguarda tanto gli addetti, che nell' aeroporto di Zurigo saprebbero fare altrettanto bene degli svizzeri, quanto la struttura anacronistica sin dalla progettazione e invivibile per tutti, frutto della cecità e dell' arroganza intellettuale che distingue ogni opera pubblica della Sicilia, immancabilmente da realizzare con il massimo investimento di danaro pubblico e il minimo costo per l' impresa. Come non comprendere chi, in tanto casino, va avanti e indietro con un paraocchi virtuale e che, con il cervello in ebollizione per l' insopportabile caldo, decide di mettere in moto i propri anticorpi con tanti saluti a tutti? Provare per capire.



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