domenica 7 febbraio 2010

Lettera aperta all'Assessore Cuffaro, giugno 2001

Onorevole Salvatore Cuffaro,

mi permetta, La prego, di continuare a darLe del Lei, di non adeguarmi al suo tratto affabilmente cameratesco. Se è vero, infatti, che sin dal nostro primo incontro Ella mi ha dato del tu, è anche vero che, alieno per natura da ogni forma di sguaiata confidenza, e memore delle norme di buona educazione impartitemi durante l’infanzia ho sempre preferito rimanere fedele ai comportamenti
tradizionali, quelli “d’antan” in uso nelle buone famiglie. Capisco quanto possa apparirLe anacronistico, ma non riesco proprio a non essere discreto, e un po’ schivo all’occorrenza. Non parliamo poi degli abbracci e baci dai quali, detto per inciso, al posto Suo rifuggirei. Giusto per non far sospettare ai maliziosi strategie miranti a confondere le idee: abbracciare tutti per non compromettersi più di tanto. E poi mi creda, Le conviene perdere tale abitudine anche perché, in questa terra di malfidenti, essa potrebbe rivelarsi pericolosa e condurLa ad incidenti di andreottiana memoria. É per il Suo bene che lo dico, non certo per gelosia del Suo successo presso quella corte di persone sempre uguali che si direbbe La seguano dappertutto, incuranti delle spese. Ha visto a proposito del senatore Andreotti e del suo recente rientro nell’agone politico che cosa succede quando si viene costretti al palo per un lungo periodo di tempo?  I tanti elettori danno prova di smemoratezza. Ora, sembra che anche i Suoi elettori, ultimamente, si siano rivelati piuttosto parsimoniosi rispetto alle Sue esigenze. Eh, caro Lei! L’ingratitudine umana, prima o poi, si manifesta inevitabilmente. Non sarà magari che, a causa delle Sue improvvise migrazioni, i Suoi supporters si confondono e vanno a finire da tutt’altra parte?

Ma passiamo adesso a quel che più mi preme dirLe, a quel che mi inquieta seriamente. Ella si chiederà che cosa voglio ancora, come mai non ho ancora capito che i miei argomenti La interessano ancor meno del sesso degli angeli. Ma è proprio di questo Suo disinteresse, più apparente che reale -mi pare-, che voglio parlare, degli aspetti sconvolgenti di una Sua presa di posizione che ha determinato qualche interferenza, a causa di certe mie passate osservazioni, che non credo possano averLa lasciata così indifferente come ha voluto far credere.

Cerco di spiegarmi compiutamente.

Dopo le mie due lettere intese a richiamare la Sua attenzione, pubblicate dalla rivista “Il Belice”, lettere dal contenuto sicuramente tale da costituire la base di un dibattito approfondito sui serissimi problemi dell’agricoltura, Ella ha preferito sottrarsi a questa occasione offertaLe dalle mie considerazioni su fatti e misfatti della politica agraria siciliana, chiudendosi in un silenzio manifestamente sdegnato. E fin qui, trattandosi di scelte soggettive, anche se di discutibile gusto, non c’è granché da obiettare. Dove però la cosa assume aspetti allarmanti, è nel rifiuto, oppostomi dall’editore del suddetto mensile, ad ospitare una mia terza lettera aperta sempre a Lei indirizzata, malgrado io avessi acquistato con regolare contratto lo spazio destinato alle mie esternazioni. La ragione del rifiuto mi fu palesata senza mezzi termini: <<Signor Becchina, per favore, ci lasci guadagnare il pane.>>; Era fin troppo chiaro che i miei scritti andavano respinti per non compromettere la sopravvivenza della rivista, che, al pari di altre, non potrebbe vivere senza l’apporto pubblicitario (che, in questo caso, si minacciava di far venir meno); e, aggiungo io, senza la benevolenza dei potenti. Una mazzata in testa non mi avrebbe fatto più male.


Molto evidentemente, nei confronti dei redattori de “Il Belice”, era stata esercitata una indebita pressione, una di quelle pressioni in auge in un  passato non più proponibile, ma che purtroppo riemerge, neanche più tanto mascherato, con tutta l’arroganza cara a quelle caste che hanno sempre fatto scempio dei diritti della brava gente di Sicilia, sempre vilipesa, dai politicanti in testa, ben oltre il consentito e ben oltre i patrii confini.  Orbene, io non ho dubbi che sia stato proprio Lei a commettere questa incivile interferenza, oscurantista nella forma ancor più che nella sostanza. E se Ella vorrà, per questo che Le dico, querelarmi, gliene sarò grato: mi divertirò a provare il Suo disprezzo per uno dei più fondamentali valori democratici: la libertà di stampa. 

Comunque data la forza di impatto da Lei mostrata nel corso della campagna elettorale e data l’altezza della carica cui Lei aspira, nella Sicilia già governata da Federico II, ho avvertito il preciso senso civico di dire anch’io la mia.

La saluto.

Gianfranco Becchina



Nessun commento:

Posta un commento